Luigi Pirandello

11.11.2008 13:26

Luigi Pirandello nasce il 28 giugno 1867 nella villa detta Caos nei pressi di Girgenti (oggi Agrigento). La famiglia, di tradizione garibaldina e antiborbonica, è proprietaria di alcune zolfare. Dopo gli studi liceali compiuti a Palermo, rientra nel 1886 a Girgenti, dove affianca per breve tempo il padre nella conduzione di una miniera di zolfo e si fidanza con una cugina (rompendo in seguito il fidanzamento). Si iscrive prima all'università di Palermo, poi passa alla Facoltà di Lettere dell'università di Roma, ma a causa di un contrasto con il preside, il latinista Onorato Occioni, si trasferisce all'università di Bonn, dove nel 1891 si laurea in Filologia romanza con una tesi dialettologica. Intanto ha già esordito come poeta con Mal giocondo (1889) e con Pasqua di Gea (1891), raccolta che dedica a Jenny Schulz-Lander, di cui a Bonn si è innamorato.

Nel '92, fermamente deciso a dedicarsi alla sua vocazione letteraria, si stabilisce a Roma, dove vive con un assegno mensile del padre. Nell'ambiente letterario della capitale conosce e stringe amicizia con il conterraneo Luigi Capuana, che lo spinge verso il campo della narrativa. Compone così le prime novelle e il suo primo romanzo, uscito nel 1901 con il titolo L'esclusa. Non abbandona tuttavia la poesia: escono nel '95 le Elegie renane, nel 1901 Zampogna, e nel 1912 Fuori di chiave, la sua ultima raccolta poetica. Nel 1894 sposa a Girgenti, con matrimonio combinato tra le famiglie, Maria Antonietta Portulano, figlia di un ricco socio del padre. Si stabilisce definitivamente a Roma, dove nascono i tre figli Stefano (1895), Rosalia (1897) e Fausto (1899).

Pirandello vive sempre con disagio il rapporto con la fragile e inquieta moglie, avvertendo il forte peso delle norme comportamentali risalenti alle radici siciliane. Inizia una fitta collaborazione con diversi giornali e riviste letterarie, sulle quali pubblica una ricca e vasta produzione narrativa che trova consensi presso il pubblico, ma indifferenza da parte della critica. Scrive il romanzo Il turno (edito nel 1902) e lavora ai suoi primi testi teatrali che per allora non riescono a raggiungere le scene. In opposizione all'estetismo e al misticismo dominanti fonda con Ugo Fleres e altri amici un settimanale letterario dal titolo shakespeariano «Ariel». Dal 1897 al 1922 insegna, senza entusiasmo ma con grande dignità, stilistica italiana presso l'Istituto Superiore di Magistero di Roma.

Nel 1903 l'allargamento di una miniera di zolfo causa alla famiglia Pirandello un grave dissesto economico: il padre Stefano perde insieme al proprio capitale anche la dote della nuora. In seguito alla notizia dell'improvviso disastro finanziario, Antonietta, già sofferente di nervi, cade in una gravissima crisi che durerà per tutta la vita sotto forma di grave paranoia. Vani saranno i tentativi di Pirandello di dimostrare che la realtà non è come invece pare alla moglie. Abbandonata la tentazione del suicidio, Pirandello cerca di fronteggiare la disperata situazione, assistendo Antonietta (che verrà internata in una casa di cura solo nel 1919); e per arrotondare il magro stipendio universitario, impartisce lezioni private e intensifica la sua collaborazione a riviste e a giornali.

Nel 1904 Il fu Mattia Pascal , pubblicato a puntate sulla «Nuova Antologia», riscuote un successo tale che uno dei più importanti editori del tempo, Emilio Treves di Milano, decide di occuparsi della pubblicazione delle sue opere. Nel 1908 pubblica due volumi saggistici Arte e scienza e L'Umorismo, grazie ai quali ottiene la nomina a professore universitario di ruolo. Nel 1909 inizia la sua collaborazione, che durerà fino alla morte, al «Corriere della Sera», su cui appaiono via via le sue novelle; e pubblica la prima parte del romanzo I vecchi e i giovani (la seconda esce in volume nel 1913). Nel 1911 esce il romanzo Suo marito. Scrive anche alcuni soggetti cinematografici, mai realizzati; mentre nel 1915 pubblicherà il romanzo Si gira... Nel 1915-'16 inizia la sua prodigiosa e intensa attività teatrale, che darà vita a dibattiti e discussioni in Italia e all'estero.

Proprio negli anni della grande guerra, (vissuti drammaticamente anche per la perdita della madre e per la partenza dei figli per il fronte), scrive alcune celebri opere: Pensaci Giacomino!, Liolà (1916), Così è (se vi pare), Il berretto a sonagli, Il piacere dell'onestà (1917), Ma non è una cosa seria e Il gioco delle parti (1918). Nel 1918 esce il primo volume delle Maschere nude, titolo sotto cui raccoglie i suoi molteplici testi teatrali. Nel 1920 il teatro pirandelliano con Tutto per bene e Come prima, meglio di prima, si afferma pienamente, e a partire dall'anno successivo raggiunge il grande successo internazionale con il capolavoro Sei personaggi in cerca d'autore. Abbandonata la vita sedentaria degli anni precedenti, Pirandello vive e scrive negli alberghi dei più importanti centri teatrali sia europei che americani, curando personalmente l'allestimento e la regia delle sue opere. In questi stessi anni il cinema trae diversi film dai suoi testi teatrali e narrativi, di cui continuano a uscire ristampe e nuove edizioni.

Nel 1922 esce il primo volume della raccolta Novelle per un anno presso l'editore Bemporad. La sua produzione teatrale prosegue con Enrico IV e Vestire gli ignudi (1922), L'uomo dal fiore in bocca (1923), Ciascuno a suo modo (1924), Questa sera si recita a soggetto (1930). Nel 1924 si iscrive formalmente al partito fascista, da cui ottiene appoggi e finanziamenti per la compagnia del Teatro d'Arte di Roma che, sotto la direzione dello stesso Pirandello, porta per tre anni (fino al 1928) il teatro pirandelliano in giro per il mondo. L'interprete per eccellenza delle sue scene è la "prima attrice" Marta Abba, a cui Pirandello si lega anche sentimentalmente. Nel 1926 esce in volume il romanzo Uno, nessuno e centomila, ultimo romanzo, frutto di una lunga gestazione, (Bemporad, Firenze), intessuto di interrogativi che il protagonista rivolge direttamente al lettore, per coinvolgerlo in una vicenda "universale", un riepilogo di tutta l’attività, narrativa e teatrale dell'autore. Il dramma La nuova colonia (1928) inaugura l'ultima stagione pirandelliana, quella fondata sui «miti» moderni, che culmina nell'opera incompiuta I giganti della montagna. Nel 1929 è nominato membro dell'Accademia d'Italia, dove nel '31 commemora Verga.

Nel 1934 riceve il premio Nobel per la letteratura. Si ammala di polmonite, mentre segue le riprese a Cinecittà di un film tratto da Il fu Mattia Pascal. Muore nella sua casa romana il 10 dicembre 1936. Esce postuma l'edizione definitiva delle Novelle per un anno.

L'inquietudine e una solitudine a tratti disperata, che sono la costante della sua esistenza, insospettabili in un uomo di tale successo, vengono analizzate nell'articolo Il segreto di un Nobel italiano, che prende in esame le pagine di alcuni biografi: fra tutti, Andrea Camilleri, che bene la descrisse nel suo libro Biografia del figlio cambiato.

 

[LETTERA AUTOBIOGRAFICA]

Questa brevissima autobiografia, scritta probabilmente fra il 1912 e il 1913, apparve nelle colonne del periodico romano Le lettere (numero del 15 ottobre 1924), con la seguente nota del Direttore, Filippo Súrico: (L'autobiografia fu integralmente ripubblicata nello stesso periodico Le lettere (Serie VII, n. 1, 28 febbraio 1938), come atto di omaggio a Luigi Pirandello dopo la sua morte)

Circa quindici anni or sono, io chiesi a Luigi Pirandello, che già allora stimavo moltissimo, alcune notizie sulla sua arte e sulla sua vita per un profilo critico.

Luigi Pirandello mi fu cortese e mi inviò delle rapide note che ora io ritrovo nei miei cassetti dopo tanto volgere di tempo. (Ci sono di mezzo il conflitto mondiale e... tutto il teatro pirandelliano).

Trovo interessante ed utile offrire ai lettori di Lettere queste note che sono un documento di sincerità e una chiarificazione ancora opportuna.

Il Pirandello era, allora, un novelliere e un romanziere stimato; ma, pur maturo d'anni, non aveva nulla dato al teatro: questo pareva addirittura estraneo al suo temperamento di narratore.

Dallo scritto che ora io pubblico si avverte, però, che al teatro egli pensava: lo aveva, si può dire, già bello e pronto nell'anima, o, se si vuole, nel cervello, e nelle sue... novelle.

Finanche qualche frase di questo brano di lettera servì, poi, al titolo di una commedia pirandelliana.

Colgo l'occasione per augurare all'illustre scrittore ancora lunghi anni di giovinezza d'arte.»

Sono nato in Sicilia, e precisamente in una campagna presso Girgenti, il 28 giugno del 1867. Venni a Roma la prima volta nel 1886 e vi stetti due anni. Nell'ottobre del 1888 partii per la Germania e vi rimasi due anni e mezzo, cioè fino all'aprile del 1891. Mi laureai là, all'Università di Bonn, in lettere e filosofia. Nel 1891 ritornai a Roma, e non me ne son piú mosso. Insegno, purtroppo, da 15 anni Stilistica nell'Istituto Superiore di Magistero Femminile. Dico purtroppo, non solo perché l'insegnamento mi pesa enormemente, ma anche perché la mia piú viva aspirazione sarebbe quella di ritirarmi in campagna a lavorare.

Vivo a Roma quanto piú posso ritirato; non esco che per poche ore soltanto sul far della sera, per fare un po' di moto, e m'accompagno, se mi capita, con qualche amico: Giustino Ferri o Ugo Fleres.

Non vado che rarissimamente a teatro. Alle 10, ogni sera, sono a letto. Mi levo la mattina per tempo e lavoro abitualmente fino alle 12. Il dopo pranzo, di solito, mi rimetto a tavolino alle 2 e mezza, e sto fino alle 5 e mezza; ma, dopo le ore della mattina, non scrivo piú, se non per qualche urgente necessità; piuttosto leggo o studio. La sera, dopo cena, sto un po' a conversar con la mia famigliuola, leggo i titoli degli articoli e le rubriche di qualche giornale, e a letto.

Come vede, nella mia vita non c'è niente che meriti di essere rilevato: è tutta interiore, nel mio lavoro e nei miei pensieri che... non sono lieti.

Io penso che la vita è una molto triste buffoneria, poiché abbiamo in noi, senza poter sapere né come né perché né da chi, la necessità di ingannare di continuo noi stessi con la spontanea creazione di una realtà (una per ciascuno e non mai la stessa per tutti) la quale di tratto in tratto si scopre vana e illusoria.

Chi ha capito il giuoco, non riesce piú a ingannarsi; ma chi non riesce piú a ingannarsi non può piú prendere né gusto né piacere alla vita. Cosí è.

La mia arte è piena di compassione amara per tutti quelli che si ingannano; ma questa compassione non può non essere seguíta dalla feroce irrisione del destino, che condanna l'uomo all'inganno.

Questa, in succinto, la ragione dell'amarezza della mia arte, e anche della mia vita.

I libri. - Il mio primo libro fu una raccolta di versi, Mal giocondo, pubblicata prima della mia partenza per la Germania.

Lo noto, perché han voluto dire che il mie umorismo è provenuto dal mio soggiorno in Germania; e non è vero: in quella prima raccolta di versi piú della metà sono del piú schietto umorismo, e allora io non sapevo neppure che cosa fosse l'umorismo.

Scrissi in Germania, invece, Pasqua di Gea, che è un poemetto primaverile in lasse rimate di settenarii, per nulla umoristico, e le Elegie renane.

Tornato a Roma, tradussi in distici italiani le Elegie romane del Goethe.

Fino a tutto il 1892 non mi pareva possibile che io potessi scrivere altrimenti, che in versi. Devo a Luigi Capuana la spinta a provarmi nell'arte narrativa in prosa (e dico arte narrativa in prosa, perché fino a poco tempo fa avevo nel cassetto il manoscritto di una lunga narrazione in versi, un poema su l'arcidiavolo Belfagor, composto  anch'esso prima che partissi per la Germania, e anch'esso umoristico).

La mia prima prova nell'arte narrativa in prosa fu il romanzo L'Esclusa, raccolto in volume dal Treves e molti anni dopo, riveduto e corretto. La prima raccolta di novelle stampata fu Amori senza Amore: tre lunghe novelle intitolate L'onda, La Signorina, L'amica delle mogli, aride, rigide, d'indole psicologica e nel fondo, amarissime.

A me non piacciono piú, quantunque dall'ultima, L'amica delle mogli, ci sarebbe da trarre una gustosa e originale commedia.

Seguì ad Amori senza Amore, il romanzetto comico-umoristico d'argomento siciliano Il Turno, che tra poco il Puccini d'Ancona ripubblicherà intatto. Seguì al Turno la raccolta di rime agresti Zampogna, preceduta dal poemetto Padron Dio, che forse, tra le mie cose in versi, è quella a cui tengo di piú.

Dopo Zampogna, presso lo Streglio di Torino pubblicai Quand'ero matto, novelle umoristiche, e presso il Lumachi di Firenze Beffe della Morte e della Vita, in due serie, per insipienza dell'editore quasi a tutti sconosciute.

Eppure in queste due serie vi sono 4 o 5 delle mie migliori novelle, come Notizie del mondo, Se..., Il giardinetto lassú, Il marito di mia moglie.

Poco dopo, presso lo Streglio, pubblicai Bianche e nere; poi, su la "Nuova Antologia", Il fu Mattia Pascal.

Dopo questo romanzo fortunato entrai nella Casa Treves, che ha già pubblicato tre mie raccolte di novelle, Erma bifronte, La Vita nuda e Terzetti, oltre la ristampa dell'Esclusa e dello stesso Fu Mattia Pascal. Ultimamente il Formíggini di Genova ha pubblicato le rime ironiche Fuori di chiave e il Quattrini di Firenze Suo marito, romanzo che il Treves non poté pubblicare per sue ragioni particolari, e ne fu dolentissimo.

Ora attendo a compiere il vasto romanzo I Vecchi e i Giovani, già in parte apparso su la "Rassegna contemporanea": il romanzo della Sicilia dopo il 1870, amarissimo e popoloso romanzo, ov'è racchiuso il dramma della mia generazione. E un altro romanzo ho anche per le mani, il piú amaro di tutti, profondamente umoristico, di scomposizione della vita: Moscarda, uno, nessuno e centomila. Uscirà su la fine di quest'anno nella "Nuova Antologia".

(ndr) Uno, nessuno e centomila fu invece pubblicato a puntato nella Fiera letteraria negli anni 1925-1926 e, in Volume, nel 1926 (Firenze, Bemporad). I capitoli 6, 7, 8, 9, io, -ri del Libro II apparvero, sotto il titolo Ricostruire nella rivista mensile Sapientia, anno II, n. i, Roma, gennaio 1915 (un fascicolo speciale èdito in occasione del terremoto della Màrsica

Sono anche da vedere, per i riferimenti autobiografici e talune importanti confessioni, le lettore di Pirandello premesse, a mo' di prefazione, ai seguenti volumi:

- L. Pirandello, Vieille Sicile, Paris, Kra, 1928 (cinque novelle tradotte da Benjamin Crémieux);

- D. Vittorini, The drama of L. Pirandello, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 1935.

 

 

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